Lo stalking – Sindrome del molestatore assillante
30 ottobre, 2008 by Agata Romeo - Psicologo
Categoria: Psicologia Giuridica
Spesso accade che a seguito di una separazione coniugale, nell’ambito della frequente contesa dell’affido dei figli, il marito venga accusato di essere affetto dalla sindrome da stalking.
Attenzione però a non confondere un padre preoccupato, desideroso di rivedere i propri figli dopo lunghi periodi in cui madri possessive, nonostante le disposizioni del giudice, neghino il diritto di visita, con uno stalker. Ciò che è peggio sarebbe cadere nella trappola tessuta dalla condizione conflittuale del disaccordo coniugale in cui i clienti tendono a proporsi come il genitore buono e a dimostrare che l’altro sia il genitore cattivo. Il genitore “inadeguato” potrà essere additato come tale dalla controparte perchè ritenuto affetto da un qualche disturbo di personalità o mentale o da sindrome dello stolker.
Delineamo quindi il quadro della suddetta sindrome.
Lo stalker è intrusivo ed insistente. Desidera ad ogni costo avere un contatto con quella che viene designata come la sua vittima, generalmente si tratta di conoscenti con i quali si è intrattenuta una relazione sentimentale ma che, una volta finita, vorrebbero recuperare. Può trattarsi anche di un estraneo mosso da un forte investimento affettivo (sentimenti di odio o amore). La fissazione su di una relazione reale o idealizzata quindi.
Lo stalker agisce comportamenti molesti, effettua pedinamenti, appostamenti di fronte casa della vittima o nei luoghi da essa frequentati, invia lettere, sms, telefonate, pacchi dono, ecc. Gesti che inizialmente vengono scambiati come “segni d’affetto”, poi diventano ossessivi, indesiderati poiché reiterati ed intrusivi.
La vittima perseguitata inizia a vivere nel terrore psicologico, accusa disturbi del sonno, disturbi d’ansia, alterazioni del tono dell’umore, crisi di pianto, mette in atto comportamenti di evitamento limitandosi nella vita sociale e privata, fino ad arrivare talvolta allo sviluppo del disturbo post-traumatico da stress.
Se rifiutato lo stalker si mostra aggressivo, minaccia, inveisce contro la vittima, ne danneggia gli oggetti, può anche arrivare ad ucciderla.
Gli stalkers non sono sempre affetti da una patologia mentale. Non si tratta di un disturbo ossessivo. Non basta che si mettano in atto comportamenti molesti o che si arrechi disturbo ad un altro ma si tratta di comportamenti agiti intenzionalmente, in modo consapevole e connotati da “petulanza”.
Non esisteva in Italia una normativa specifica che regolamentasse la “sindrome del molestatore assillante” ci si poteva riferire all’art 660 (Molestia o disturbo alle persone) del Codice Penale che recitava come segue:
“Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a cinquecentosedici euro”.
Dal 18 giugno 2008 però il Consiglio dei Ministri ha approvato il ddl che ha introdotto nel codice penale il reato di stalking. L’art. 612 bis prevede non una semplice contravvenzione ma da 6 mesi a 4 anni di reclusione. A seguito della querela della persona offesa il delitto è punibile, eccetto quando si verifichino le aggravanti in cui vi è la procedibilità d’ufficio o quando si tratta di stalker che in precedenza era già stato individuato come responsabile di comportamenti persecutori.
Persiste ancora, così come accade nelle situazioni di violenza sessuale, la difficoltà a denunciare le persecuzioni subite.
Bibliografia:
- Stalking and psychosexual obsession, J. Boon – L. Sheridan, WILEY, 2002.
- “Lo stalking: aspetti psicologici e fenomenologici” articolo di M. Aramini, presente in G. Gulotta, S. Pezzati, “Sessualità, diritto, processo”, Giuffrè, 2002.
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